paziente esperto

Il Paziente Esperto, tra ruoli e definizioni

Una delibera della Regione Toscana ha previsto il coinvolgimento del Paziente Esperto (PE) in alcune gare per l’acquisto di dispositivi medici e farmaci promosse dalla sua centrale acquisti.

Negli scorsi giorni si è acceso un dibattito sulla delibera della Regione Toscana che ha varato un progetto sperimentale per il coinvolgimento del Paziente Esperto (PE), figura prevista dalla normativa europea, in alcune gare per l’acquisto di dispositivi medici e farmaci promosse dalla sua centrale acquisti, ESTA.

Il PE è definito dalla delibera come una “persona con patologia cronica oppure oncologica oppure rara (o caregiver) che oltre all’esperienza di malattia abbia acquisito una formazione tecnica riguardo ad argomenti inerenti allo sviluppo dei farmaci o dei dispositivi medici erogata da un ente formatore riconosciuto. Il PE deve avere una certificazione che qualifichi il suo percorso di formazione.”

Alcune Associazioni di pazienti hanno espresso “perplessità riguardo al coinvolgimento della figura del "Paziente Esperto" individuato nel singolo paziente solitario come figura indipendente da un contesto associativo”-  perplessità condivisa anche da ALTEMS dell’Università Cattolica e dalla Fondazione The Bridge, la cui “’impressione è che si stiano creando figure rappresentative dei pazienti – che giustamente l’Europa ci obbliga a coinvolgere – che rispondano più ai criteri di non belligeranza nei confronti delle aziende farmaceutiche o di questo o quello specifico interesse”.

Un’altra perplessità che è stata sollevata riguarda la validità del percorso formativo idoneo a “certificare” lo specifico profilo di paziente esperto (in questo caso, la stesura di un capitolato di acquisto).

Il tema è importante e attuale. E il dibattito è utile, sempre.

Il nostro punto di vista.

La premessa è che i percorsi formativi disponibili oggi in Italia da parte di ‘enti formatori riconosciuti’ sono, a nostro avviso, di alto livello. Lo sono certamente – per averli conosciuti entrambi da vicino -  il Corso di Eupati/Accademia del Paziente Esperto e il Master in Patients Advocacy Management di Altems/Università Cattolica

Riteniamo, tuttavia, che i percorsi formativi contribuiscano a rendere i pazienti non ‘esperti’, ma ‘PIU’ esperti’.

La parola PIU’ fa la differenza, perché chi è affetto o si occupa di una malattia ha acquisito una esperienza ‘sul campo’ che rappresenta la base, il fondamento, il presupposto della sua ‘expertise’.

Tale esperienza, tuttavia, non è sufficiente - di per sé - ad affrontare un dialogo, anche a nome e per conto di altri, con Organizzazioni strutturate quali le Istituzioni, le Industrie, le Società Scientifiche o le Autorità regolatorie.

La condivisione e il confronto tra la propria esperienza e quella di altre persone che si trovano nella medesima condizione - che trova il suo ambito di applicazione privilegiato in un contesto plurale come quello associativo, o comunque organizzativo - attribuiscono più forza, consapevolezza, credibilità e metodo a quella esperienza e la rendono più efficace nella interlocuzione con l’esterno.

Pertanto, nella piena condivisione della ratio che ha ispirato l’iniziativa della Regione Toscana, ci sentiamo di concordare con chi suggerisce di ampliare/completare la definizione di ‘paziente esperto’.

Anzi, in linea generale, riteniamo che tale definizione dovrebbe essere estesa ulteriormente e comprendere anche i c.d. ‘patients’ advocates’, ovvero a quelle persone che – anche se non portatrici di una specifica patologia -  hanno acquisito conoscenze e competenze sui bisogni di una, o di un gruppo, di patologie nel corso degli anni come leader di organizzazioni di pazienti. Nel nostro Paese - e non solo - ne abbiamo diversi esempi.

Un’ultima annotazione. Presupporre che un’ Organizzazione non ceda ad eventuali pressioni di “aziende farmaceutiche o di questo o quello specifico interesse” mentre il singolo individuo si, è un concetto che non ci sentiamo di condividere in maniera ‘dogmatica’.

Certamente, laddove esiste un gruppo, esiste anche un’attività di controllo, che tuttavia potrebbe non essere di per sé sufficiente a garantire sempre la ‘terzietà’ dell’organizzazione.

Questo aspetto, a nostro avviso, va verificato e non presupposto, che si tratti di un singolo o di un gruppo.

 

Barbara D'Alessio
Presidente e Direttore Esecutivo
Fondazione Lega Italiana Ricerca Huntington ETS