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Due recenti studi dimostrano che la mutazione Huntington modifica la sua lunghezza nel corso del tempo

Due recenti studi pubblicati rivelano nuove importanti novità sulla conoscenza della malattia di Huntington. Le due ricerche sono state condotte da gruppi di ricercatori diversi, ma condividono conclusioni che vanno in una direzione comune. Pertanto questo 2025 parte con una forte accelerazione nel guadagno di conoscenza della malattia di Huntington.

HUNTINGTON: La mutazione modifica la sua lunghezza nel tempo all’interno delle cellule nervose ed è ora possibile cogliere segnali di cambiamenti biologici molti anni prima dell’inizio dei sintomi.

 

di Ferdinando Squitieri, MD, PhD

Due recenti ricerche rivelano nuove importanti novità sulla conoscenza della malattia di Huntington. Le due ricerche sono state condotte da gruppi di ricercatori diversi, ma condividono conclusioni che vanno in una direzione comune. Pertanto questo 2025 parte con una forte accelerazione nel guadagno di conoscenza della malattia di Huntington.

RICERCA 1: Condotta e diretta da ricercatori dell’Università di Harvard (USA) su decine di campioni di cervello umano conservati presso l’Harvard Brain Tissue Resource Center – NIHNeuroBioBank, ottenuti grazie alla donazione da parte delle famiglie di pazienti deceduti di malattia di Huntington da stadi iniziali ad avanzati di malattia e tutti portatori di mutazioni da espansione di lunghezza del tratto CAG come comunemente osservata nella popolazione adulta affetta dalla malattia. Quindi, uno studio eseguito direttamente su esseri umani e non su modelli animali o cellulari di laboratorio. 

I ricercatori hanno isolato singole cellule cerebrali ed analizzato come si comporta la mutazione da espansione del tratto CAG all’interno di ciascuna di queste cellule. Un lavoro enorme. L’espansione di CAG, ricordiamo, diventa tossica e causa la malattia quando mostra almeno 36 triplette. Questo è quello che rileviamo nelle cellule del sangue quando viene eseguito un test genetico sul DNA. In questo caso i ricercatori hanno analizzato, oltre al sangue, anche le singole cellule cerebrali dei pazienti deceduti.

I ricercatori hanno osservato che avviene, nel corso della vita, un sostanziale cambiamento della lunghezza della mutazione nei neuroni striatali, la parte dell’encefalo che primariamente viene interessata dalla malattia di Huntington e che ciò avviene in tempi diversi. Questo cambiamento consiste in successive ed ulteriori allungamenti della mutazione nelle singole cellule cerebrali fino a centinaia di triplette CAG. Per esempio, se una persona nasce con 44 CAG, inizia a mostrare allungamenti del tratto nel corso della vita nelle cellule cerebrali. Ci saranno così cellule nervose che ospiteranno 44 CAG ed altre che mostreranno, invece, mutazioni assai più lunghe. Questo fenomeno determina il cosiddetto mosaicismo somatico. Gli allungamenti possono inizialmente raggiungere lunghezze pari a circa 70-100 e più ripetute, senza che questo produca un danno visibile. Successivamente, quando la mutazione supera 150 CAG, iniziano i primi effetti biologici sulla cellula con disregolazione di altri geni diversi dall’Huntingtina che contribuiscono al cattivo funzionamento della cellula nervosa. Per allungarsi da 44 a 150 CAG la mutazione impiega anni all’interno delle cellule. Una volta raggiunta questa soglia però, da 150 triplette a salire il fenomeno accelera e non impiega più ann ma mesi ed inizia il vero danno funzionale più grave con perdita di neuroni per morte cellulare. A questo punto l’accelerazione dell’allungamento delle espansioni in più cellule nervosa nell’encefalo di un paziente determina presenza di oltre 500 triplette CAG in alcune cellule con conseguente aumento della disregolazione e morte di cellule.

Questo studio offre una reale spiegazione della progressione devastante della malattia che dipende da un fenomeno dinamico, non sincrono e non omogeneo nelle cellule nervose. I ricercaori hanno notato che più è lunga in partenza la mutazione CAG, più diventa esteso il fenomeno del mosaicismo somatico, cioè la formazione di tratti di CAG espansi più lunghi di quelli presenti alla nascita nelle diverse cellule nervose. Questo fenomeno del mosaicismo somatico è influenzato dal contributo di geni modificatori che hanno il compito di riparare il danno del DNA che ne consegue che possono, perciò, rappresentare un obiettivo terapeutico. I ricercatori stanno già valutando come impiegare future terapie per condizionare la funzione di questi geni nel tentativo di contenere l’aumento del mosaicismo somatico di CAG e ridurre l’allungamento dell’espansione tossica di ripetute all’interno dei neuroni striatali (Pubblicazione 1).

 

RICERCA 2: Coordinata da ricercatori dell’University College di Londra (UK). I ricercatori hanno condotto la ricerca su pazienti in vita; quindi, ancora una volta, un grande risultato ottenuto dallo studio della malattia umana, non su modelli animali o di laboratorio. 

L’obiettivo è stato quello di cogliere cambiamenti clinici e biologici molto ma molto prima dell’insorgenza della malattia. Anche più di 20 anni prima. Per farlo è stato necessario eseguire lo studio su persone giovani, inserite nel progetto HD Young Adult Study (HD-YAS), lontane dall’esordio di malattia, portatrici di mutazione da espansione di CAG. Si è rilevato che già oltre 20 anni prima della manifestazione clinica di malattia, quando non sono presenti cambiamenti clinici di alcun genere nè sul piano del movimento, nè cognitivo, nè psichiatrico, sono invece presenti dei cambiamenti biologici. Questi cambiamenti potranno rappresentare biomarcatori fondamentali per future sperimentazioni terapeutiche.

Ricordo che è necessario avere validi biomarcatori che sono indicatori di cambiamenti biologici se si vuole agire sulla modifica del decorso della malattia in assenza di sintomi. In altri termini senza validi biomarcatori non si può pensare di iniziare terapie sperimentali in persone asintomatiche portatrici di mutazione per testare che una cura preventiva realmente funzioni. 

I ricercatori hanno evidenziato che, già oltre 20 anni prima dei sintomi, qualcosa cambia nello striato (lieve, impercettibile, riduzione del volume del Putamen) dell’encefalo delle persone portatrici della mutazione CAG, che alcune protein, come i Neurofilamenti (NfL), aumentano nel liquido cerebrospinale, altre, come le proencefaline (PENK), invece, si riducono. Tutti questi segnali indicano che c’è un’iniziale degenerazione neuronale striatale anche se questi cambiamenti non sono sufficienti a causare, a quell’età, manifestazioni cliniche che si riveleranno più avanti negli anni. Questi cambiamenti sono più evidenti nelle persone che hanno un increment del mosaicismo somatico misurato nelle cellule del sangue ed in quelli che hanno determinati pattern di struttura della sequenza di DNA del gene dell’Huntingtina. Quindi, anche in questo caso, un’azione su geni modificatori che hanno il compito di riparare e proteggere la stabilità del DNA, può rappresentare una risorsa terapeutica promettente, concludono gli autori della ricerca.

Recentemente il team di Tabrizi ha suggerito una nuova valutazione di stadi di malattia denominata Integrated Staging System (ISS). Con ultima nuova ricerca, ora avremo più elementi per seguire i cambiamenti di fase di malattia dalla nascita di un individuo a rischio a quando si ammala. La partecipazione delle persone giovani a rischio è stata fondamentale per questa ricerca e la loro adesione ai programmi osservazionali (come Enroll-HD ed HDClarity) sempre di più rivestirà un ruolo rilevante (Pubblicazione 2).

 

IN SINTESI: Le due ricerche confermano che la malattia di Huntington rappresenta un fenomeno dinamico: le cose cambiano nel sistema nervoso delle persone portatrici di una mutazione da espansione di CAG nel gene Huntingtina nel corso della vita e questi cambiamenti sono influenzati da tanti fattori, solo in parte oggi noti. Sicuramente l’effetto che osserviamo nell’encefalo non è visibile in vita, ma per fortuna alcuni biomarcatori possono oggi essere rilevati nelle persone a rischio con le nuove tecnologie disponibili, molto prima delle manifestazioni cliniche. Questi strumenti non possono essere utilizzati nella comune pratica clinica ma sono disponibili nei protocolli di ricerca terapeutica per testare nuove strategie di cura. Le due ricerche concordano nella conclusione che il cosiddetto mosaicismo somatico riveste un ruolo determinante nella genesi della malattia. Ricordo che mosaicismo somatico significa che singole cellule nervose possono ospitare una mutazione di lunghezza differente una dall’altra all’interno di un tessuto (per esempio lo striato all’interno dell’encefalo) e che la tossicità più grave si verifica quando la lunghezza del tratto CAG diventa di centinaia di triplette CAG in queste cellule, fenomeno non comunemente rilevabile nelle cellule del sangue, ove il mosaicismo cambia in maniera meno marcata. Dunque, anche se il test genetico non cambierà se fatto all’inizio o alla fine della vita, la lunghezza della mutazione cambia invece di molto nelle cellule dell’encefalo e determina così la morte dei neuroni.

IL MIO PUNTO DI VISTA: La mutazione è veramente tossica e genera morte dei neuroni nello striato quando raggiunge una soglia di lunghezza molto ma molto più elevata di quella visibile nelle cellule del sangue nello stesso individuo. Questo è il motivo per cui chi già nasce con una mutazione molto ma molto più estesa di quella visibile nella maggioranza dei pazienti esprime una malattia più grave, più devastante e molto diversa da quella comunemente osservata. Ciò accade nell’Huntington ad insorgenza pediatrica, come un team di ricercatori da me coordinato ha dimostrato nel 2018 (Pubblicazione 3). 

Questo fenomeno, come dimostrato dalla RICERCA 1, genera una disregolazione di molti geni, fino a 700 diversi geni, alcuni che aumentano la loro capacità di esprimersi, altri che la diminuiscono. Ci fa pertanto piacere osservare che una nostra recente ricerca risulta perfettamente in linea con queste sopra riportate avendo noi documentato che nell’encefalo di persone con Huntington ad insorgenza pediatrica molte aree cerebrali riducono il metabolisno del glucosio ed altre lo aumentano a dismisura rispetto all’encefalo di un paziente con insorgenza classica, in età adulta (Pubblicazione 4).

Siamo, infine, contenti di osservare che avevamo guardato questo fenomeno correttamente già in precedenza nel 2005, nelle colture cellulari linfoblastoidi umane di bambini con malattia di Huntington, ove il tratto CAG si allungava in maniera esponsenziale nel tempo di centinaia di triplette CAG e poteva essere farmacologicamente ridotto (Pubblicazione 5). 

Pertanto, anche se fortunatamente super rara, la malattia di Huntington dei bambini, di cui il mio team si occupa da tempo, offre spunti di studio in grado di cogliere quello che evidentemente negli adulti non siamo in grado di vedere.