Generation HD1: il nostro racconto della sperimentazione appena cominciata
L’ultima settimana di agosto siamo andati a San Giovanni Rotondo, in Puglia.
Abbiamo desiderato incontrare il team e i pazienti coinvolti nello studio Generation HD1, in corso di svolgimento all’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, Unità Huntington e Malattie Rare.
Per quattro giorni abbiamo respirato la stessa aria che respiravano loro e ci siamo guardati intorno anche, un po’, attraverso i loro occhi.
Abbiamo ascoltato le loro voci e catturato le loro sensazioni, attraverso immagini e video. Alcuni erano lì per la visita preliminare, quella di screening, che serve per essere certi di rispettare tutti i criteri di inclusione previsti dal protocollo; altri, invece, avevano fatto già questa visita il mese precedente ed erano lì per ricevere per la prima volta il farmaco sperimentale (o il placebo, nessuno lo può sapere), per la prima volta - nella storia della malattia di Huntington - attraverso una puntura lombare. L’aria era piena di emozione e di tensione, emozioni espresse, con nostra sorpresa, con tanta voglia di fare amicizia. Abbiamo sentito allegria e tante risate provenire dalla sala d’attesa.
Abbiamo parlato con i pazienti e con le persone che erano lì con loro per sostenerli: mamme, sorelle, papà, figli, amici di famiglia, partner… tutti pronti ad assumersi una responsabilità che manterranno per almeno due anni e mezzo: quella di accompagnarli ad ogni visita e di impegnarsi a fare, anche loro, i ‘compiti a casa’. Lo studio prevede infatti l’uso quotidiano di smartphone e smartwatch su cui eseguire esercizi e test ad orari prestabiliti che vanno svolti non solo dai pazienti, ma anche dai caregivers.
Abbiamo osservato i medici fare il briefing ad inizio giornata, confrontarsi sulle soluzioni migliori perché i partecipanti fossero il più a proprio agio possibile durante l’infiltrazione del farmaco (o del placebo, nessuno lo può sapere). Ci siamo soffermati sui loro sorrisi soddisfatti, emozionati e umidi dopo avere completato con successo la procedura ed avere strappato una risata al paziente più teso, quello che ‘dobbiamo farlo rilassare, perché andrà tutto bene’. Abbiamo visto il biologo sedersi con discrezione e, pensando di non essere visto, mangiare finalmente un panino alle quattro e mezzo del pomeriggio, perché per seguire tutte le procedure di laboratorio e stare dietro al corriere aveva saltato il pranzo, anche oggi.
E’ un’esperienza che dovrebbero fare tutti, almeno una volta, quella di guardare da vicino cosa vuol dire somministrare una terapia sperimentale a persone per cui quella terapia rappresenta l'unica speranza di cambiare il proprio futuro, e forse anche il proprio presente. Persone al cui fianco si cammina da molti anni, o anche solo da pochi mesi. Se guardassimo tutti un po’ più da vicino, ci sarebbe meno retorica, più consapevolezza di quanti sforzi e di quanti sacrifici ci sono dietro ogni singolo giorno di lavoro e di impegno di ogni singolo medico, ricercatore, paziente, familiare.
Barbara D'Alessio - 3 settembre 2019