Storia della malattia di Huntington
Una storia dalle origini lontane
Si racconta che le prime descrizioni di movimenti involontari risalgono all'epoca delle Sacre Scritture: alcuni miracoli presenti nella Bibbia sembrano far riferimento a persone che soffrono di questo male. Il primo a darne un'iniziale descrizione fu un eccentrico signore che si faceva chiamare Paracelsus, piuttosto arrogante ed anticonformista che, all'inizio del 1500, la riconobbe come una possibile malattia.
Successivamente, il tipico movimento involontario coreico assume varie denominazioni a seconda del luogo in cui viene descritto: "St. Joh's o St. Vitus' Dance" in Germania, "Dance de St. Guy" in Francia o, dal Latino, "Chorea Sancti Viti", quest'ultimo appellativo forse il più noto di tutti. Assunse poi altri appellativi, tra il 1500 e il 1800, come "Tarantismo", probabilmente dalla danza di origine italiana nel leccese denominata "Taranta", come riporta il neurologo canadese Andre Barbeau, in un suo articolo pubblicato nel 1958 su Journal of Nervous and Mental Disease.
“That disorder” (quel male): una storia di discriminazione
La malattia di Huntington è stata fin dall'inizio oggetto di discriminazione e stigma sociale, tanto da lasciarla definire dalla gente comune dell'800, come "that disorder", ovvero “quel male”. La prima vera descrizione arrivò nel 1872 da un medico americano di Long Island, di nome George Huntington, su una rivista scientifica dell'epoca in un articolo intitolato "on chorea". La malattia aveva connotati poco chiari in cui gli elementi che la caratterizzavano erano il movimento involontario come una danza incontrollabile (per cui il nome Còrea dal greco) e il disturbo mentale.
Ricostruzioni storiche di famiglie descritte da George Huntington, emigrate dall'Inghilterra negli Stati Uniti, riferiscono la presenza di malati di Còrea già dal 1600.
La descrizione di Vessie del 1932 racconta di emigrati inglesi della Contea di Suffolk, le cui famiglie cercarono di sfuggire a uno degli sport più popolari della vecchia Inghilterra, la caccia alle streghe. È certo che intere famiglie inglesi, i cui discendenti furono poi descritti come affetti dalla malattia da George Huntington, alla fine dell'800 furono perseguitate per stregoneria, incarcerate e ritenute portatrici di disturbi mentali. Discendenti di queste famiglie, approdate negli Stati Uniti nel 1630 a bordo del vascello John Winthrop, ebbero certamente un trattamento simile. Le contorsioni coreiche del corpo, tipiche della malattia, furono ritenute frutto dell'espressione bestiale del diavolo. L'ignoranza dilagante induceva il pensiero che gli spasmi del corpo fossero considerati come una sorta di rappresentazione della sofferenza di Cristo durante la crocifissione. Come conseguenza della natura genetica del male, all'epoca non certo interpretata secondo canoni scientifici, la discriminazione era rivolta non solo a chi ne soffriva ma all'intera famiglia di appartenenza. Pertanto, la malattia era innominabile e additata, dalla società americana dell'800 bigotta e puritana, appunto come "that disorder" (quel male).
La conoscenza della malattia
George Huntington (vedi foto) imparò a conoscere la malattia fin da bambino, apprendendo le prime impressioni dal padre medico e la descrisse per la prima esauriente volta all'età di 22 anni, sintetizzandone i tre punti fondamentali: la tendenza al suicidio e al disturbo mentale, l'ereditarietà e il carattere progressivamente invalidante. La descrizione di George Huntington ne veicolò la conoscenza nella società civile perché ebbe la fortuna di essere tradotta in lingua tedesca. Ciò ne consentì la diffusione del nome e delle caratteristiche cliniche principali, ma non servì di certo a ridurre la discriminazione sociale.
Il razzismo e la discriminazione continuano nel nostro secolo
Tristemente noto l'editto del 1933 del terzo Reich nella Germania nazista che la riporta: unica tra le malattie neurologiche, insieme alla schizofrenia, per cui veniva richiesta la sterilizzazione forzata. Dall'altra parte dell'oceano, un medico americano di nome Davenport, in epoca anche precedente, riservava ai malati di corea considerazioni razziste altrettanto discriminanti.
La scoperta del gene: lo studio di una famiglia venezuelana e napoletana
Un grande contributo alla conoscenza della malattia si deve all'identificazione di interi nuclei familiari affetti da tale patologia che ha consentito la successiva scoperta del gene responsabile e della causa. La più nota concentrazione di malati di corea di Huntington si trova nella zona di Maracaibo, in Venezuela, dove attualmente ne soffre una famiglia di circa 14.000 persone. L'origine della diffusione della malattia in quest'area si deve a un marinaio nord europeo che sbarcò sulle coste venezuelane all'inizio del 1800, in un villaggio di pescatori nello stato di Zulia. La malattia fu trasmessa ai figli e causò una grande diffusione in quell’area, provocando una devastazione della popolazione in quel territorio.
Quasi ogni famiglia di poveri pescatori, in una delle più degradate aree della terra, ospita uno o più malati di Huntington. Dal 1979, una spedizione di medici e ricercatori dagli Stati Uniti ha cominciato a studiare e analizzare quei casi di Còrea, raggiungendo l'obiettivo di identificare prima la regione cromosomica, nel 1983 e poi il gene responsabile della malattia, nel 1993. È enorme il contributo che quella popolazione ha dato alla ricerca scientifica sulla malattia, ed è rilevante e noto a pochi, che a quella scoperta abbia contribuito anche una famiglia di origine Italiana, residente nel napoletano, seguita da ricercatori italiani e descritta per la prima volta nel 1992.
Maggiore conoscenza non è ancora “uguale a” minore discriminazione
Dall'identificazione della causa genetica ad oggi il guadagno di conoscenza è stato enorme. Grazie al test genetico è possibile riconoscere la malattia e la sua causa anche prima della manifestazione dei sintomi e molti dei meccanismi biochimici che rappresentano l'origine biologica del male sono noti. Oggi una formidabile task force unisce ricercatori e specialisti di tutto il mondo nella lotta alla malattia e molti nuovi possibili farmaci sono in corso di sperimentazione o sono in procinto di essere collaudati e rappresentano una speranza valida per le famiglie di tutto il mondo. Organizzazioni di ricercatori e pazienti dedicano energie alla lotta contro questa devastante malattia e nel frattempo combattono ancora contro la discriminazione della società giudicante e ancora troppo ignorante.
(Testo a cura di Ferdinando Squitieri, 2013)