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Traumi infantili e disagio psicologico in età adulta nei bambini cresciuti in famiglie con malattia di Huntington.

E’ quanto emerge da uno studio - appena pubblicato sul Journal of Huntigton’s Disease - condotto dall' Unità Huntington dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza in collaborazione con Fondazione LIRH e Lancaster University.

Quando pensiamo a una famiglia colpita dalla Malattia di Huntington, ci concentriamo spesso sulla persona affetta o sul caregiver principale. Eppure, raramente immaginiamo il punto di vista dei bambini che, anche quando non sono consapevoli che sia presente la malattia nella propria famiglia, ne subiscono e assorbono le conseguenze. 

È con questa idea che tra il 2021 e il 2022 sono state raccolte le testimonianze di 38 giovani adulti che hanno vissuto la malattia di un genitore durante la loro crescita. L’obiettivo era comprendere se, e in che misura, avessero vissuto esperienze di vita avverse o traumatiche nell’infanzia e indagare l’impatto di queste esperienze sul loro benessere psicologico attuale. Per fare questo, sono stati usati  due strumenti ampiamente riconosciuti in ambito clinico e di ricerca: il Childhood Trauma Questionnaire - Short Form (CTQ-SF), che misura la presenza di esperienze di abuso emotivo, fisico e sessuale, di trascuratezza emotiva e fisica, fornendo anche un punteggio complessivo delle esperienze avverse vissute da ciascun individuo; e il Symptom Checklist-90 Revised (SCL-90R), che rileva eventuali sintomi di distress psicologico presenti al momento della compilazione, fornendo anche un punteggio complessivo.  

I dati emersi hanno mostrato che i figli cresciuti in famiglie con la malattia di Huntington sono maggiormente esposti ad esperienze traumatiche durante l’infanzia, in particolare emergono differenze per quanto riguarda esperienze di abuso e di trascuratezza emotiva e fisica. 

Inoltre, da adulti vanno maggiormente incontro a disagio psicologico e a sentimenti di tristezza e perdita, oltre ad una tendenza all’isolamento sociale e alla sensazione di estraneità rispetto al contesto in cui vivono. Infine, dallo studio è emerso che l’esposizione a certi tipi di esperienze è in grado di predire un maggiore disagio psicologico in età adulta.

Il nostro studio dimostra l'esistenza di un fattore di stress ambientale che si aggiunge alle cause biologiche della malattia e può pesantemente compromettere la qualità della vita " afferma il prof. Ferdinando Squitieri, Direttore scientifico della Fondazione LIRH, Responsabile Unità Huntington e Malattie Rare dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, che aggiunge : "Anche chi non eredita la malattia può condividere esperienze traumatiche collegate a stress relazionale dovuto ai cambiamenti indotti dalla malattia e risentirne durante la sua crescita e il suo sviluppo".

Pur essendo esplorativo, lo studio evidenzia con chiarezza, infatti, che i bambini che crescono in famiglie in cui è presente la malattia di Huntington percepiscono profondamente i cambiamenti che avvengono in famiglia, ne vivono l’instabilità e ne portano i segni, spesso invisibili agli occhi esterni, che diventano poi visibili in età adulta in termini di sofferenza emotiva a lungo termine. Ecco perché diventa imprescindibile “rendere visibile l’invisibile” e riconoscere che la chiave di lettura della malattia di Huntington deve essere ancora una volta familiare, con l’accortezza di includere il vissuto dei più piccoli. Di fronte a questo scenario, diventa urgente ampliare le strategie di prevenzione, informazione e sostegno ai giovani e alle famiglie. Solo così potremo spezzare il silenzio che circonda le loro esperienze, tutelare il loro benessere e costruire una migliore qualità di vita per l’intero nucleo familiare. 

E’ anche per questi motivi che bisogna continuare a dare voce all’Huntington, di cui ancora non si parla abbastanza – afferma Barbara D’Alessio, Presidente e Direttore Esecutive di Fondazione LIRH – La campagna Ti Do La Mia Parola promossa in occasione del mese della consapevolezza ha avuto questo obiettivo e sempre di più dovrà raggiungere i ragazzi e i giovani adulti, la parte più fragile di una popolazione già fragile, benchè molto resiliente”.

 

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Hanno parlato del nostro studio anche il Corriere Salute e HDBuzz