Andrea

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Io e i miei genitori siamo persone molto riservate, parliamo poco, non ci apriamo facilmente, ma condividere la nostra storia, che può essere la storia di tanti, mi è sembrato giusto.

Andrea, 32 anni - Montevarchi (AR)

 

Conosco la malattia di Huntington da quando è stata diagnosticata a mio padre.

Papà l’ha ereditata da mia nonna, che non è mai stata curata, controllata o seguita da un punto di vista medico ed è venuta a mancare circa 30 anni fa.

Cinque anni fa sono comparsi i primi segni di malattia su mio padre.  I miei genitori sapevano che sarebbe potuto accadere, ma con me non ne avevano mai parlato, hanno preferito non pensarci.

Quindi, ai primi movimenti involontari di babbo, mia madre ha subito capito di cosa si trattava, ma io no.

Sono figlio unico. Mio padre è stato per me quasi un fratello, più che un genitore. E’ ancora abbastanza autonomo, ma da circa un anno ha smesso di guidare. Andavamo spesso in bicicletta insieme, facevamo le gare. Abbiamo dovuto smettere. Il mio rapporto con lui, però, non è cambiato. Io convivo con la mia compagna, ma vado a trovarlo tutti i giorni.

Io e i miei genitori siamo persone molto riservate. E’ grazie alla mia compagna se ci siamo avvicinati alla LIRH. Se non ci fosse stata lei, onestamente, non so se vi avremmo mai contattato ma, adesso che lo abbiamo fatto, ne sono contento. I nostri parenti e amici sono a conoscenza della nostra situazione familiare, ma con loro non ne parliamo. Ne parliamo solo tra noi tre. Mio padre non voleva che se ne parlasse con nessuno al di fuori di noi tre, perché la malattia non l’ha mai accettata.

Sia io che papà partecipiamo ad Enroll-HD. Mio padre partecipa anche ad HDClarity.

Io non sono in contatto con altri ragazzi come me. Però, dove abitiamo noi, tempo fa c’era un signore: vedendolo passare, ci era venuto il dubbio che potesse avere questa malattia. Poi, in occasione del suo funerale, tra le partecipazioni mortuarie c’erano dei biglietti in cui si ringraziava la LIRH per la sua attività di ricerca sulla malattia di Huntington. Ho poi scoperto che conosco sua figlia. Non ho ancora parlato con lei, ma vorrei farlo.

Ad una persona della mia età che scopre di avere la malattia di Huntington in famiglia, direi di non vergognarsene.

Per il mio futuro non so cosa aspettarmi, vivo alla giornata. Non ho fatto il test genetico. La mia idea è di farlo più avanti, in una età in cui potrei essere più vicino ad un eventuale esordio della malattia, tra una decina di anni, penserei.

Ho raccontato la mia storia per dimostrare che mi interessa, che ci interessa. Come ho detto, noi siamo persone molto riservate, parliamo poco, non ci apriamo facilmente, ma condividere la nostra storia, che può essere la storia di tanti, mi è sembrato giusto.

Andrea