storia malattia di Huntington Cristiana

Cristiana

Cristiana, 56 anni - Roma

Ho ereditato la malattia di Huntington da mia mamma. Lei ha avuto le prime manifestazioni tardi, intorno ai 60 anni. Aveva qualche problema motorio, alle braccia i movimenti erano molto controllati, ma le gambe non riuscivano a stare ferme, soprattutto mentre cercava di riposare. Nel camminare si sentiva a disagio, strusciava i piedi. Osservandola, si notavano dei particolari tratti del viso che ho ritrovato anche in altre persone; ho notato che a un certo punto, con il manifestarsi della malattia, i tratti cambiano un po’ a tutti e diventano simili.

Mia mamma aveva una sorella e anche lei aveva la malattia. Mia nonna è morta abbastanza giovane, prima di manifestare i sintomi. Era una di sette figli, di cui sei l’hanno ereditata. La mia bisnonna aveva la malattia: proveniva da un paesino di campagna dove tutti la consideravano affetta da un disturbo mentale. Uno dei fratelli di mia nonna è stato ricoverato in manicomio. Mio fratello ha fatto il test genetico prima di sposarsi ed è risultato negativo. Ha quindi potuto avere due bellissimi bambini, ovviamente non malati.

Io ho scoperto di avere ereditato l’Huntington due anni fa. Da quel momento in poi, la mia vita gira tutto intorno a questa malattia, che ha cambiato radicalmente il mio modo di vivere. Fortunatamente, ho potuto decidere di non continuare a lavorare, appoggiata da mio marito. Siamo venuti insieme a conoscenza della mia condizione e insieme prendiamo tutte le decisioni più importanti e difficili. Io mi ritengo fortunata di aver potuto fare questa scelta e di essere libera di vivere la mia vita e anche la malattia con coscienza e con tranquillità. Soprattutto con la serenità di poter affrontare ogni cosa con il sostegno di tante persone che mi sono vicine e che ho incontrato lungo il mio percorso. Non avendo ancora sintomi molto evidenti, riesco a essere abbastanza autonoma e svolgere molte attività insieme a mio marito. Aver lasciato il lavoro mi ha offerto maggiore libertà rispetto alla vita di prima; è cambiato il mio modo di vedere e di vivere la mia quotidianità. Oggi ho più determinazione, ho riconquistato la mia indipendenza, la libertà di poter decidere cosa fare quotidianamente. Non è stato un percorso facile. Alla fine, sono passati appena due anni, non molto tempo, da quando ho avuto la diagnosi, però mi sento serena e pronta ad affrontare qualsiasi cosa. 

La malattia, a me, ha aiutato: mi ha dato più forza. Al momento, paure non ne ho assolutamente. Ho imparato a convivere con la mia condizione e a pensare soltanto a star bene.

Ho iniziato subito a fare fisioterapia al San Raffaele a Roma: tre volte a settimana, tre ore. Faccio riabilitazione motoria, terapia psicologica, terapia occupazionale e logopedia. Adesso, con l'emergenza Covid, le terapie sono online, via Skype.

Il Covid è diventato un'occasione per mio marito per decidere di chiudere la sua attività e stare più vicino a me. Il nostro progetto è di trasferirci in Umbria, dove abbiamo una piccola casa. Sarebbe tutto più a misura d'uomo e più facile, potremo vivere con più serenità.

Sto partecipando ad una sperimentazione e questo mi fa star bene, mi fa sentire più tranquilla. So che, pur essendo malata, posso ancora essere utile e posso esserlo anche agli altri. Posso essere d'aiuto per la ricerca. Questo per me è molto importante. Poi è un'occasione di convivialità: entrare in contatto con altre persone provenienti da tutta Italia che condividono la tua stessa esperienza, conoscere San Giovanni Rotondo, un posto dove non ero mai stata prima. Diventa un modo per dare un senso, uno scopo, alla malattia che ho.

Conoscendo altre famiglie, mi sono resa conto che, davvero, l’Huntington ha tante facce. Ho conosciuto persone con manifestazioni aggressive, di violenza verso gli altri e verso se stessi. Ho incontrato persone malate molto più giovani di me e mi ritengo una persona fortunata della mia condizione.

Non ho avuto figli, non per scelta ma per casualità, ma a questo punto dò un senso a tutte le cose, anche a questo.

Bisogna avere tanta forza e tanta speranza. La forza la trovi dentro te stessa. Gli aiuti, gli appigli ti arrivano quando meno te l'aspetti. Con la LIRH ci siamo venuti a conoscere casualmente. Ora mi ritrovo a vivere una realtà completamente nuova, un aiuto prezioso nel modo più inatteso. Non dobbiamo aver paura di chiedere aiuto.

 

Testimonianza raccolta nell'ambito del progetto That Disorder-Photography Project On Huntington's Disease 

 

 

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