Enam
Mi chiamo Enam e vivo a Bagdad, in Iraq.
Mia figlia Zuzu, 23 anni, ha ereditato la malattia di Huntington da suo padre. Sapevo che nella sua famiglia c'era una malattia che provocava movimenti incontrollati, ma non ne conoscevo il nome, né tantomeno sapevo che fosse ereditaria. Nessuno me ne aveva mai parlato. Ancora oggi, non sono del tutto certa che lui fosse cosciente del suo problema. Il padre di mia figlia era un militare, che ha negato la malattia per tutta la sua vita. Non ero la sua prima moglie: era stato già sposato prima di me e aveva avuto tre figli, che hanno, tutti, ereditato la malattia. A 30 anni il padre di Zuzu ha iniziato ad avere i primi problemi sul lavoro che lo hanno costretto ad andare in ospedale ma, nonostante questo, non ha mai voluto affrontare la realtà. Tutti i membri della sua famiglia avvertivano lo stigma della malattia e avevano paura che, a causa di essa, nessuno di loro si sarebbe sposato e avrebbe avuto figli. È per questa ragione che, come per un tacito accordo, hanno continuato a negare sempre, a se stessi e agli altri, la sua esistenza.
Zuzu è nata nel 1997. Mia figlia è stata perfettamente in salute fino all'inizio del liceo, quando hanno cominciato a manifestarsi i primi problemi. Fino a quel momento, mi aveva sempre seguito ovunque andassi, per via del mio lavoro di ingegnere. Era solita venire all'estero con me e partecipava addirittura ai miei incontri di lavoro. Era una ragazza molto intelligente e sveglia, tutti mi facevano i complimenti. Una volta iniziato il liceo, tutto ha cominciato a crollare. Zuzu ha cominciato ad accusare mal di testa ogni giorno, ad avere difficoltà a concentrarsi e a studiare. Gli insegnanti hanno notato i suoi problemi. All'inizio, però, pensavano che fossero dovuti a un po' di stress. Ho iniziato a dire a Zuzu che non era necessario che diventasse anche lei un’ingegnere: era sufficiente che concludesse il liceo e poi l'avrei mandata in una università privata. Non immaginavo che non sarebbe stato possibile, perché la malattia aveva iniziato il suo inesorabile decorso e la stava già cambiando.
Nel 2014 gli insegnanti hanno notato che la sua scrittura era diventata illeggibile. Quell’anno, per la prima volta, Zuzu è stata bocciata. Nel 2015 sono diventati sempre più evidenti i problemi di attenzione: Zuzu passava ore a fissare il vuoto e gli insegnanti, conoscendola da anni, hanno iniziato a preoccupati molto seriamente. Nessuno riusciva a spiegarsi questi cambiamenti così repentini. Mia figlia è stata bocciata anche nel 2015. Questo l’ha molto frustrata e fatta arrabbiare. L'ho portata da un medico per indagare il motivo dei suoi continui mal di testa, riferendogli anche i problemi del padre. E’ stata sottoposta a risonanza magnetica, elettrocardiogramma e varie analisi del sangue, ma non sono emerse anomalie. I medici, alla fine, le hanno prescritto solo del paracetamolo. Ad un certo punto, ho cominciato a notare anche movimenti involontari durante la notte.
Nel novembre 2016, poiché nessun medico locale era in grado di darmi spiegazioni, ho deciso di portarla a Dubai, da un medico che aveva conosciuto anche il padre di Zuzu. Questo medico le ha prescritto un farmaco chiamato amantadina e l’ha sottoposta a diversi test genetici per cercare di individuare quale fosse la possibile causa genetica del suo malessere.
Nel 2017 abbiamo scoperto che Zuzu era portatrice della mutazione Huntington, con 59 CAG. Questo risultato mi ha sconvolto, perché avevo visto la malattia logorare suo padre, suo zio e i suoi cugini ed ero terrorizzata all’idea di cosa potesse provocare su di lei.
Ma poi ho capito che dovevo essere forte, per me e per lei. Mi sono ritirata dal lavoro e da quel momento ho dedicato tutta me stessa a Zuzu. L’ho portata in giro per il mondo in cerca di specialisti in grado di poterla aiutare. E' così che ho conosciuto Ferdinando Squitieri e la Fondazione LIRH, per la prima volta, nel 2018. Cercando su internet informazioni sulla malattia di Huntington giovanile, sono entrata in contatto con l'Organizzazione internazionale giovanile (HDYO). Catherine e Matthew, del direttivo, mi hanno consigliato di rivolgermi al dottor Squitieri. E’ stato un incontro fondamentale, da quel momento nella nostra vita c'è più speranza.
Viaggiare, incontrare i ricercatori e le organizzazioni internazionali che si occupano di malattia di Huntington ci ha fatto sentire meno sole. C'è una grande comunità impegnata a cercare una cura per questa malattia e questo pensiero mi dà sollievo.
Viaggiare è costoso, ma ne vale la pena. Io e Zuzu siamo venute in Italia già 4 volte e, ogni volta, lei si sente molto meglio. Il viaggio stravolge la sua routine e questo le dà una scossa vitale. Lo vedo dai suoi occhi: è più attiva, vuole andare in giro, ha molta più energia e anche io mi sento molto meglio. Questo dà speranza a entrambe. Il Covid-19 sta rendendo i viaggi più difficili, perché non è possibile ottenere un Visto per più di 5 giorni, ma non ci fermeremo perché la ricerca scientifica e l’incontro con la comunità Huntington danno senso al nostro tempo.
Penso che per le persone coinvolte da questa malattia e per i loro cari sia importante credere nella ricerca e mantenere vivo il contatto con chi vive la stessa esperienza. Comunicare con gli altri accresce la nostra energia positiva, condividere la nostra esperienza ci fa sentirsi meno soli e ci aiuta a credere che valga la pena non arrendersi.
Spero di avere sempre la forza per continuare a prendermi cura di Zuzu e spero di poter vedere la ricerca fare il suo corso con successo.
"Zahara (Zuzu) ha la grave forma di Huntington giovanile. I ragazzi come lei, se avvicinati con la giusta dose di umanità e professionalità, consentiranno alla ricerca di fare grandi passi verso la conoscenza" - Ferdinando Squitieri