Fiorella
Il mio nome è Fiorella e la mia storia con la malattia di Huntington è iniziata nel giugno del 2013, su una fredda panchina di marmo bianca, davanti all’ospedale di Careggi a Firenze.
Ero lì ad aspettare mio marito che, con molta fatica, avevo convinto a fare il test, ma era in ritardo rispetto all’orario pattuito e avevo paura che avesse cambiato idee e non si sarebbe presentato.
Da quel giorno “l’ansia” non mi ha più abbandonato, è diventata una costante della mia vita, a volte è cosi invadente che sento uno strano peso al petto, così opprimente che mi fa mancare il respiro.
Inutile dire che da quel giorno tutto è cambiato e naturalmente in peggio.
L’inesorabile avanzare della malattia che prende sempre più piede nella nostra vita e purtroppo sullo stato di salute di mio marito.
Adesso si trova ingabbiato in un corpo che non risponde più ai suoi bisogni e alla sua volontà.
Non riesce più a muoversi come vorrebbe, non riesce più ad esprimere i suoi bisogni, i suoi sentimenti. Ci troviamo a vivere con una persona che non riconosciamo più.
Dico noi perché abbiamo un figlio che ha, come ben sapete, il 50% di probabilità di ereditare la malattia (e qui si potrebbe riaprire un altro capitolo).
Mio marito purtroppo non ha più nessuna delle caratteristiche che mi avevano fatto innamorare di lui, non può più condividere con me le difficoltà della vita, non può più sostenermi nei miei momenti di crisi o condividere con me le preoccupazioni della gestione e della crescita di un figlio ….anzi, in tutto questo lui è solo un aggravio, un pensiero in più, un problema in più, perché questa orribile malattia toglie tutto a chi ne è affetto, dall’autonomia alla dignità e rende un inferno la vita di noi, che cerchiamo di stargli vicino.
Sporadicamente e purtroppo, solo “sporadicamente”, riesco ad avere dei piccoli attimi di un immensa tenerezza, dove mi sembra di veder trasparire ancora il mio Lorenzo.
Ci sono dei momenti in cui lo odio con tutta me stessa, perché riesce a tirare fuori il peggio di me, mi sento tirare giù in un baratro senza fine, poi ritrovo la mia razionalità e riesco finalmente a vederlo per quello che è , un “malato” ingabbiato da una malattia spietata, di cui lui non ha nessuna colpa e dentro a quel corpo in fondo in fondo c’è sempre quel grande uomo che nel 1996 riuscì a rubarmi il cuore e capisco che, nonostante tutto, nutro per lui un sentimento fortissimo e spero che lui ne sia ancora consapevole.