Vite sospese

Francesco

Francesco Rossiello ha raccontato la sua storia di Huntington in un libro molto bello e toccante, dal titolo Vite Sospese, di cui pubblichiamo l'introduzione. Il libro è acquistabile su Amazon.

Francesco, 64 anni - Bari

Gli anni trascorsi faccia a faccia con la Malattia di Huntington sono stati trentotto in totale: quasi venti con mia madre e quasi diciotto con mio fratello.  Una battaglia silenziosa, inesorabile, che mi ha consumato giorno dopo giorno, mentre cercavo di tenere assieme i pezzi della mia vita. E poi, come se non bastasse, la morte improvvisa di mio padre in un incidente stradale. 

Ci sono esperienze nella vita che sfuggono alla comprensione finché non le attraversi in prima persona. Parole, racconti, immagini: tutto ciò che ti viene descritto resta sempre un’ombra indistinta di ciò che realmente è. 

Possiamo provare empatia per chi ha sofferto, ma la verità è che il dolore e la sofferenza rappresentano un viaggio intimo e personale. 

L’empatia può avvicinarci, ma non può sostituire l’esperienza diretta.  La mia vita è stata profondamente segnata da eventi contro i quali opporsi sarebbe stato semplicemente inutile. 

Alcuni li chiamano destino, fato, sorte. Altri preferiscono definirli, in modo più poetico, “il corso del tempo”. 

Per me è stata semplicemente la vita. La mia vita, che ho accolto con tutte le sue ombre e i suoi pesi, non per obbligo, o mancanze di via d’uscita, ma per scelta. 

Avrei potuto arrendermi alla disperazione, cedere alla rabbia, o addirittura contemplare l’idea di mettere fine a tutto. In certi momenti, la tentazione è stata forte. 

Ma quelle erano “soluzioni” che per me non avevano alcun senso. Erano strade che non avrei mai potuto percorrere, non perché fossero inimmaginabili o irraggiungibili, ma perché le sentivo profondamente estranee a ciò che realmente sono. 

Averi potuto cercare vie di fuga temporanee, forse. Ma cosa avrebbero davvero cambiato? Nulla. Non avrebbero cancellato il dolore né restituito ciò che avevo perso. 

Così, ho scelto di restare, di affrontare con coraggio tutto ciò che la vita mi ha posto di fronte. 

Ho vissuto senza una vera famiglia, ma al contempo me ne sono occupato come se l’avessi avuta. 

Sono stato sposato e pur desiderando dei figli, non ho potuto averli. 

Sono stato spinto, mio malgrado, verso una solitudine che non ho mai cercato né voluto. Una solitudine che non ho scelto, ma che mi è stata imposta. 

Se le sofferenze dei miei genitori – l’incidente di mio padre e le difficoltà di mia madre – le avevo, in qualche modo, accettate, relegandole al “così va la vita”, la malattia di mio fratello ha segnato un punto di rottura. 

In me è scattata la ribellione, che ho portato dentro lungo tutto il suo calvario. 

È rimasta nascosta per molto tempo, come una fiamma soffocata, alimentandosi silenziosamente delle sue sofferenze e delle sue ingiustizie, fino al momento della morte di mio fratello, quando ha raggiunto il suo apice, esplodendo in tutta la sua forza. È stato in quel preciso momento che ho compreso l’inutilità di correre incessantemente e di lavorare senza sosta, come avevo fatto per tanti anni. 

È stato allora che ho avvertito un bisogno irrefrenabile di prendermi cura di me stesso, come se per tutto quel tempo avessi ignorato la mia esistenza. Mi dovevo delle carezze, delle attenzioni che avevo sempre rinviato, come se il mio benessere fosse stato meno importante di tutto il resto. 

Così ho preso una decisione: un anno sabbatico per allontanarmi dal lavoro. La parola chiave per me, ora, è serenità. 

Ho affidato la gestione dell’agenzia assicurativa a un team di colleghi competenti, sotto la mia supervisione, ma senza più stress. 

Voglio godermi gli anni della maturità, circondato dalle piccole e grandi gioie della vita. 

Lavoro a distanza, il che mi permette di affrontare le sfide con maggiore lucidità. 

Incoraggiare i miei collaboratori a esprimere le proprie idee e a prendere iniziative, senza timore del giudizio, è una delle più grandi soddisfazioni che possa ricevere. Così facendo, contribuisco a costruire una squadra più unita e motivata, ma ricordo anche a me stesso che la crescita, personale e professionale, nasce dalla condivisione e dalla fiducia reciproca. 

Con i miei ultimi guadagni ho acquistato una casa al mare, dove posso ammirare ogni giorno l’alba e il tramonto. Mi sveglio presto al mattino e mi posiziono nel punto più accogliente, immerso nella quiete, per osservare il sorgere del sole, che per me rappresenta un simbolo della vita che si rinnova. 

Cerco l’alba, non solo nel senso reale, ma in quello metaforico. La osservo come se fosse una persona, scoprendo ogni giorno sfumature nuove, nei colori e nella brezza che la annuncia. È uno spettacolo che incanta e rinnova. 

Descrivere le emozioni che provo in quei momenti non è facile: i profumi del mare, la freschezza dell’aria del mattino, il calore del sole che inizia a illuminare il giorno, tutto mi parla della bellezza dell’esistenza. 

E quando il sole sorge, il pensiero corre ai miei cari e a tutto ciò che la vita ha loro negato. Li immagino idealmente in questo mare di pace, come se, attraverso i miei occhi, potessero assaporare le meraviglie di questa terra. 

Aspetto l’alba ogni giorno, inseguendola come si inseguono i sogni. E mi piacerebbe poter dire lo stesso dell’amore. Oggi sono single, non per scelta, ma perché ogni incontro sembra svanire nel nulla, relegato a un’esperienza effimera. 

Mi chiedo se questa situazione dipenda dalla mia paura di perdere di nuovo una parte di me stesso. Evito legami profondi, paralizzato dall’ansia che possano finire come tutti gli affetti più cari che ho già perduto. La paura per molto tempo mi ha spinto a costruire muri, proteggendomi dalla vulnerabilità che una connessione autentica richiede. Ogni volta che si presenta la possibilità di un nuovo legame, la mia mente si riempie di pensieri ansiosi e dubbi. Esito ad aprirmi completamente, temendo che l'intimità possa rivelarsi un rischio troppo grande, un salto nel vuoto senza ritorno. 

Tuttavia, sento il desiderio di essere compreso, di condividere la mia vita con qualcuno che veda oltre la facciata. Sogno di costruire un rapporto significativo, ma il timore di riaprire ferite mai del tutto sanate mi trattiene. 

È un dilemma che mi accompagna: da un lato, la voglia di amore e connessione; dall’altro, la paura di un ulteriore dolore. 

Ho conosciuto donne affascinanti. Ogni volta spero che sia quella giusta, quella definitiva. 

Ma per ora, sono solo storie che si aprono e si chiudono senza lasciare traccia. 

I traumi del passato emergono inevitabilmente: la corsa verso un benessere irraggiungibile, i lutti prematuri, l’affetto che mia madre faticava a esprimere, le scelte mancate che avrebbero potuto cambiare la mia esistenza. 

Tutto, nella mia vita, è stato condizionato dalla malattia, che mi ha portato a riflettere profondamente sul senso dell’esistenza e delle nostre azioni. 

Dopo questo anno sabbatico, riprenderò il lavoro a tempo pieno, con l’obiettivo di sostenere associazioni locali che si occupano di disagio. 

Un’idea maturata durante la malattia dei miei cari. 

Ho visto troppe persone soffrire, spesso senza le risorse necessarie per ricevere cure adeguate. 

Questa realtà straziante ha plasmato la mia convinzione profonda che coloro che hanno la possibilità di aiutare debbano farlo, non solo per un senso di responsabilità, ma anche per la necessità umana di essere solidali. 

La mia decisione di impegnarmi in questo senso non è solo un atto di compassione, ma anche un modo per dare significato alle mie esperienze e alle sfide che ho affrontato. 

Finché ne avrò la forza, farò del mio meglio per contribuire, sia attraverso volontariato e donazioni, sia supportando iniziative che si impegnano per garantire accesso alle cure e sostegno a chi ne ha bisogno. 

Credo fermamente nell’aiuto reciproco. Ogni gesto, anche il più piccolo, ha valore: che si tratti di sostenere un amico in difficoltà o di promuovere una causa più ampia, ogni azione contribuisce a creare un cambiamento positivo. 

La mia speranza è che, ispirando anche gli altri a partecipare, si possa costruire una rete di supporto capace di alleviare la sofferenza e restituire dignità a chi si sente solo. 
 

Clicca sull'immagine per guardare l'intervista a Francesco su Telenorba andata in onda 20/02/2025

 

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Vite sospese