Clotilde
Salve,
sono Clotilde e convivo con la malattia di Huntington da molti anni, prima come moglie ed ora come madre di due splendidi figli di trentadue e trentotto anni, affetti dalla malattia. Negli anni ’80 ho conosciuto un bravo e bel ragazzo di cui mi sono innamorata per poi sposarlo. Abbiamo messo al mondo due figli e per sette, otto anni tutto è andato bene fino a quando mio marito ha iniziato a presentare degli strani movimenti, tremori molto lievi ma che ci hanno indotto a consultare il medico di famiglia, che ha ipotizzato un accumulo di stress. Mio suocero, che sapeva ma non aveva mai detto nulla, ci ha proposto di incontrare il suo medico di famiglia che era a conoscenza di tutto. Abbiamo scoperto che mio marito aveva ereditato dalla madre una malattia a noi totalmente sconosciuta, la Corea di Huntington.
Ci è crollato il mondo addosso. Abbiamo cercato di saperne di più e abbiamo scoperto che è ereditaria, neurodegenerativa, incurabile. Dopo sei anni (periodo relativamente breve), mio marito ci ha lasciato e, da allora, io ho vissuto nell’angoscia che anche i miei figli potessero aver ereditato la malattia. Ho cercato di crescerli nel migliore dei modi, dando loro tutto ciò che poteva aiutarli ad essere sereni. Quando sono cresciuti, li ho informati della cosa e, purtroppo, piano piano, abbiamo notato che qualcosa non andava soprattutto nel secondo figlio giovanissimo. Ora lui è allettato, ha problemi importanti ed ha bisogno di una persona 24 ore su 24. Nonostante tutto, lui è sereno, ama la vita perché dice, è solo una e vale comunque la pena viverla. È un ragazzo speciale che dà a tutti noi un insegnamento di vita. L’altro figlio presenta lievi sintomi, è indipendente e aiuta moltissimo me e suo fratello.
Io non riesco ad accettare tutto questo, sono arrabbiata, angosciata, triste ma devo farcela per loro perché hanno solo me; sono credente e prego Iddio che mi dia il coraggio di andare avanti. Cerco di dar loro grande amore e di sorreggerli in questo cammino. Con questa mia testimonianza vorrei lasciare due messaggi: il primo è quello di parlare nella famiglia dove c’è questo problema, di parlare con tutti, senza vergogna, pregiudizio, egoismo in modo che tutti possano fare le scelte più giuste e consapevoli. Il secondo è quello di continuare a credere nella ricerca, collaborare con essa nel nostro piccolo, ognuno con le proprie capacità e possibilità. Colgo l’occasione, insieme ai miei figli, per ringraziare il Prof. Squitieri che stimiamo molto, sia come persona che come professionista. Auguro che presto si possa trovare una cura che debelli questo male così brutto e devastante.
Clotilde