Silvia
STUDIO DI FASE III PROOF-HD CON PRIDOPIDINA
La testimonianza di Silvia, 37 anni e di suo marito Ivan, 40 anni.
Silvia, è la prima volta che partecipi ad una sperimentazione?
No, è la seconda. Quattro anni fa ho partecipato a LEGATO-HD. Quella esperienza è stata un po’ difficoltosa perché credo di aver preso il farmaco, non il placebo e quindi avevo degli effetti collaterali un po’ pesanti. Nonostante questo, conservo un ricordo positivo. Sia io che Ivan abbiamo mantenuto delle amicizie con alcuni altri partecipanti a quello studio.
Ivan: Abbiamo stretto amicizia con persone che vengono dalla Campania, dalla Puglia, dalla Calabria, un po’ da tutta l’Italia. Quella sperimentazione si è svolta a San Giovanni Rotondo, quindi ogni volta ci ritrovavamo come una combriccola, una vera comitiva.
Qual è il motivo principale che ti ha spinto a partecipare a questa sperimentazione?
Io nel mio cuore vorrei trovare la cura. Partecipando, innanzitutto, dò il mio contributo a questa grande missione. Nonostante abbia partecipato ad una sperimentazione che non è andata a buon fine, non è stato difficile decidere di partecipare a questa.
Ivan: La convinzione e la fiducia nella ricerca c’è e nel nostro piccolo credo che tutti noi dobbiamo dare il nostro contributo. Se non siamo noi ad aiutare gli sperimentatori partecipando agli studi clinici, resteremo sempre fermi nello stesso punto. Dobbiamo avere la forza, la volontà di metterci in gioco e provare a trovare una soluzione insieme.
Silvia: Vorrei specificare che nonostante la sperimentazione sia “fallita” io ho avuto degli effetti positivi dal farmaco della scorsa sperimentazione. Era mirata agli aspetti cognitivi e io li ho conservati bene.
Ivan: Abbiamo visto dei risultati, cambiamenti evidenti.
Ivan, che ruolo hai avuto nella decisione di Silvia di partecipare a questo trial?
Noi parliamo di tutto. Non abbiamo avuto alcun tipo di dubbio. Siamo due persone che ci credono profondamente. Crediamo nella ricerca e in particolare nel lavoro svolto dal Prof. Squitieri. Credere nelle persone che si prodigano per cercare una cura per questa patologia è parte essenziale del percorso. Su questa sperimentazione io e Silvia ci siamo trovati subito allineati, non abbiamo dovuto fare grande dibattiti.
Poi, d’altronde, abbiamo solo una scelta: credere nella ricerca. Qualsiasi cosa possiamo fare, sperando di arrivare in tempo, la facciamo. Se non basterà per noi, servirà per chi verrà dopo. Il principio è questo.
Abbiamo accettato i pro e i contro non solo della sperimentazione, ma anche del convivere con l’ Huntington. Bisogna fare un passo anche al livello mentale: accettare di avere la malattia è il primo passo e da qui, capire come gestire le persone malate. In questo modo, possiamo alleggerire anche loro da una serie di pesi che da sole non riuscirebbero a sopportare. Oltre alla ricerca, i pazienti meriterebbero di essere circondati da persone che non facciano pesare loro certe caratteristiche della patologia. La nostra reazione ha un impatto fondamentale sull’altra persona, affinché la persona malata si senta accettata e non malata. E’ questo il ruolo fondamentale di caregivers e familiari.
Cosa volete dire agli altri pazienti e familiari?
Continuate a credere nelle sperimentazioni, nonostante a volte sia faticoso e vi sembra che vi cada il mondo addosso. E, ultima cosa - all’unisono dicono: “Non mollare mai”!