Jokha

Jokha

Mi chiamo Jokha e ho 51 anni. Ne avevo 19, quando ho sposato Rashid, mio cugino.

L’ho sposato contro il parere di tutti.

“Non sposarlo” – mi dicevano – “all’interno della famiglia accadono cose strane da varie generazioni,  si ammalerà anche lui”. Sono sempre stata consapevole di ciò a cui sarei potuta andare incontro, ma non volevo lasciare solo Rashid, avevo paura che nessun’altra lo avrebbe sposato, che sarebbe rimasto solo, che nessuno si sarebbe preso cura di lui.

Dopo un anno di matrimonio, abbiamo avuto la nostra prima figlia, Reab che però, a soli 9 anni, ha iniziato ad avere improvvisi attacchi di epilessia, che in breve tempo sono diventati sempre più intensi e ravvicinati. Reab, inoltre, cadeva spesso e nessuno sapeva spiegarsi perché. Ci è voluto molto tempo prima di ricevere una diagnosi, la sua situazione clinica era anomala e nuova per i medici in Oman. Nel 2000, dopo un anno dalla manifestazione dei primi sintomi, abbiamo portato la bambina in Inghilterra e lì abbiamo ricevuto una diagnosi inaspettata: malattia di Huntington. La notizia ci ha sconvolto, nessuno nella nostra famiglia si era mail ammalato così presto. Possibile che la malattia di Huntington colpisse una bambina di soli 9 anni?

Nel 2000 è nata Fatma, la nostra secondogenita, ma il destino è stato crudele anche con lei.

In Fatma, la malattia è stata ancora più precoce e violenta. Il 2004 e il 2005 sono stati anni terribili per la nostra famiglia. Nel 2004 all’età di 14 anni Reab ha perso la vita e a distanza di un anno, nel 2005, all’età di soli 5 anni, abbiamo perso anche la piccola Fatma. Ricominciare a vivere è stato difficilissimo, ma la vita sembrava volerci offrire un’altra opportunità e una nuova speranza con un altro figlio, Adnan, che fino all’età di 14 anni non aveva mai manifestato alcun sintomo e noi abbiamo sperato fino alla fine che il suo futuro potesse essere diverso da quello delle sue sorelle. Adnan era molto magro, estremamente ordinato, pulito e riservato. Il giorno del suo 17esimo compleanno, mentre era in Moschea, è stato colpito da un fortissimo attacco di epilessia. Noi non eravamo con lui, alcune persone che erano lì presenti lo hanno soccorso e lo hanno accompagnato a casa.  Nel giro di tre anni, abbiamo perso anche Adnan.  Nel frattempo, le condizioni di salute di Rashid hanno cominciato ad aggravarsi velocemente e inesorabilmente fino a quando, nel 2011, se n’è andato anche lui. Quello stesso anno, 6 mesi prima di perdere Rashid, ho dato alla luce il nostro ultimo figlio Tarik. Un bambino sveglio, vivace, chiacchierone ed intelligente. Ma la malattia non ha risparmiato nemmeno lui, che ci ha lasciato nel 2019.

Abbiamo incontrato Jokha per la prima volta in Oman nel 2013, quando siamo stati contattati da suo fratello per una richiesta di aiuto alla loro famiglia. L'abbiamo rincontrata qualche giorno fa a Roma, in uno dei nostri ambulatori, dove è venuta insieme al fratello e a due nipoti per essere visitate dal prof. Squitieri e dal suo team. Il prof Squitieri ha curato il piccolo Tarik negli ultimi anni della sua vita, per quanto è stato possibile. Il bambino si è ammalato a soli 18 mesi.

Nel suo lungo calvario durato 20 anni, Jokha ci ha raccontato di avere avuto ha avuto la fortuna di avere sempre vicino una carissima amica, che è stata per lei di grande conforto.  

Le abbiamo chiesto: “Cosa diresti a una persona che venga a sapere oggi che la malattia di Huntington è presente nella sua famiglia?” “Di piangere e tenersi occupata.” – ci ha risposto – “Quando si sente il bisogno di piangere o di urlare bisogna piangere e urlare, poi però è necessario darsi da fare e tenersi occupati, non bisogna assolutamente cedere alla disperazione. La disperazione non va repressa, ma non bisogna lasciarsi sopraffare da essa”.

Oggi, Jokha fa volontariato nell’ospedale della sua città, Muscat e ha ripreso a lavorare.

Jokha