Marco

Marco

Non ho conosciuto mia mamma da sana, non so come fosse prima di ammalarsi. Aveva la malattia di Huntington. Marco, 30 anni, ha fondato, insieme ad altri ragazzi, NOI Huntington - La Rete Italiana dei Giovani

Marco, 30 anni - Firenze

Ho familiarità con questa malattia, ce l'aveva mia madre. Io non so come era da sana: l'ho conosciuta che era già malata. Percepivo che mi voleva veramente tanto bene, mi sono sempre sentito amato da lei e anch'io le volevo davvero bene e le ero molto attaccato. Ho ricordi molto belli legati a lei. I ricordi negativi sono legati alle persone intorno, che non capivano la sua situazione. Anche in famiglia a volte è stata "scaricata" come malata in modo molto brutale, senza alcun tipo di empatia nei suoi riguardi. Quando tua madre affronta determinate difficoltà, anche soltanto nel movimento, nel camminare o nel mangiare sono cose che non tutti gli altri bambini vivono o possono capire, alcune esperienze erano particolari e non potevo condividerle. Mi sentivo molto solo e incompreso.

Quando ho deciso di prendere la malattia di Huntington 'per le corna', mi sono detto che era una cosa che dovevo affrontare e non potevo far finta che non ci fosse. Ho cercato di approfondire meglio e quindi mi sono avvicinato al mondo della LIRH. La LIRH nel panorama italiano è l'unica ad avere il livello di competenza scientifica specialistica sulla malattia di Huntington, in modo così completo con assistenza gratuita, con consulenza sia psicologica che clinica. Ho deciso di fare il test genetico perché volevo essere responsabile di me stesso, sentivo il bisogno di sapere, di essere padrone di questo aspetto della mia vita.

Sono risultato positivo al test, sono un "gene carrier". All'inizio è stato un trauma forte, non riuscivo nemmeno a muovermi dallo shock. Ero bloccato sia fisicamente che psicologicamente e facevo fatica a camminare dall'ansia che avevo. Mi sono sentito subito malato, di poter morire da un momento all'altro come se fosse una cosa che in un lampo ti uccide. Solo dopo ho capito che sono solo una persona a rischio di sviluppare questa malattia.

Il test mi ha  detto solo che ho il gene modificato. Per capire se uno già manifesta la malattia fanno una diagnosi clinica con una visita medica appropriata. Dalla visita fatta ero risultato  non affetto dalla malattia quindi mi aspettavo di risultare negativo anche dal test del DNA, cosa che poi non si è verificata. La fase del trauma ha avuto una durata limitata. Più stavo dentro di me e peggio stavo.

Se fossi rimasto immobile senza fare niente, avrei continuamente avuto pensieri poco produttivi, in preda delle mie emozioni negative. Successivamente ho partecipato a qualche conferenza internazionale sull'Huntington e mi sono reso conto che per la ricerca scientifica  non è così chiaro se c'è una correlazione diretta tra il numero delle triplette e l'esordio della malattia. Non si conosce il meccanismo causale che determina in modo netto la manifestazione della malattia. Il DNA non è una cosa meccanica. Ci sono tanti meccanismi che concorrono e influenzano quel processo. Il mio trauma da test genetico era tutta una questione mentale, in fondo apprendi solo una cosa diversa di te.

Avevo completamente bisogno di focalizzarmi e concentrarmi sull'esterno. Una sera non avevo voglia di stare da solo, quindi ho chiamato un mio amico e gli ho proposto di andare in un centro benessere dove ci sono tanti rituali. Mi sono ritrovato sdraiato accanto a questo mio amico, sotto un cielo pieno di stelle, a fare la cerimonia della campane tibetane, a occhi chiusi e perdendo la consapevolezza di tutto; mi sono risvegliato una ventina di minuti dopo completamente diverso, senza più ansia. Poi ho pensato anche ai profughi che arrivano dalla Libia dove stanno praticamente in un campo di concentramento, oggetti di violenze, abusi, brutalità di ogni tipo e finiscono morti annegati perché nessuno li vuole accogliere. Mi sono messo nei loro panni, molti di loro hanno anche la mia stessa età e mi sono sentito egoista. Io dal test ho solo saputo di avere un rischio.

In quel momento ho capito che il tempo che ho a disposizione prima di ammalarmi voglio viverlo in modo di cui essere fiero e non pensando solo a me stesso. Oggi la consapevolezza del mio stato non condiziona la mia vita o le mie scelte. Con un gruppo di ragazzi che facevano parte della LIRH è nata l'esigenza di assumere una forma strutturata con un proprio Statuto, una propria forma giuridica che ci rappresentasse. Ognuno di noi si sentiva isolato, come se nessuno lo capisse. Abbiamo creato l'associazione italiana di ragazzi legati alla malattia "NOI Huntington", di cui sono Presidente. Per me è un impegno costruttivo, voglio combattere lo stigma intorno alla malattia. Confrontarmi con gli altri ha dato creatività alla mia disperazione. Nessuno deve mai più sentirsi solo.

Con la crescita personale è maturata in me la fede. Dal 2008 ho iniziato il mio percorso spirituale che mi ha portato ad essere ordinato prete nel 2014. La mia missione è ovviamente legata all'espressione della religione, però mi preme soprattutto l'aspetto della fede. Etimologicamente la parola religione deriva dal latino religare, quindi preferisco la parola fede che rappresenta di più un sentimento ma fa riferimento anche al credere con una dimensione razionale. La consapevolezza della malattia mi ha aiutato anche ad approfondire la mia visione della  fede. Alla fine la Divinità è proprio questo amore agàpico (disinteressato, fraterno). La nostra presenza di esseri umani in questa vita in qualche modo deve venire a patti con le proprie fragilità e difficoltà, quindi per me anche il fatto di essere a rischio può diventare occasione per esprimere la propria identità divina. Si ha la possibilità di scegliere come affrontare la propria vita e, volendo, anche plasmarla in modo Divino, secondo questa logica di amore. Questo è a mio avviso il senso di tutto.

Io credo fortemente anche nella scienza. Penso che possa  essere integrata ai vari aspetti della ragione, della fede, dell'umanità. L'uomo è stato dotato della facoltà della ragione e penso che questa debba essere assolutamente utilizzata.

Per quanto riguarda i miei timori sul futuro, preferisco concentrarmi sulla speranza.

 

 

Testimonianza raccolta nell'ambito del progetto:

That Disorder - Photography Project on Huntington Disease

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Marco