Storie malattia Huntington - Osvaldo

Osvaldo

Mi chiamo Osvaldo, pugliese di 42 anni, ma vivo a Como dal 2015. 

Se sono qui oggi ad offrire la mia testimonianza è perché nella mia famiglia è presente la malattia di Huntington da almeno due generazioni: mia nonna paterna, Cira, che non ho mai conosciuto, essendo venuta a mancare prima della mia nascita, e mio papà, Francesco (in famiglia è per tutti Franco, mai capito il perché, visto che “Franco” non è il diminutivo di “Francesco” ☺), ormai da quasi vent’anni alle prese con la malattia che, purtroppo, seppur lentamente, è prossima allo stadio finale. Per sua fortuna, ha al suo fianco una persona eccezionale, sua moglie Rosa (mia mamma), che, nonostante le sue tante difficoltà e gli acciacchi, ogni giorno fa del suo meglio per accudirlo!

Sono perfettamente consapevole che la condizione di mio papà fa di me e dei miei fratelli e sorelle dei “soggetti a rischio”: rischio di potersi ritrovare un giorno a dover aprire la porta ad un’ospite indesiderata e a dir poco ingombrante!

Devo ammettere che dal 2003 (anno in cui mio papà si sottopose al test genetico predittivo) in avanti, il mio interesse per la malattia è stato ondivago: alternavo periodi in cui mi documentavo su di essa ad altri in cui preferivo ignorarla del tutto. Questo atteggiamento è perdurato più o meno fino al 2015, anno in cui presi finalmente coscienza che ignorare il problema non lo avrebbe rimosso: mi domandai quindi come potevo contribuire ATTIVAMENTE alla ricerca scientifica sulla malattia e decisi di propormi come partecipante allo studio osservazionale ENROLL HD, di cui avevo letto su Internet. All’epoca, mi risultò che l’unico centro in Italia che reclutava volontari per questo studio era la LIRH e la prima visita andava svolta preferibilmente nell’ambulatorio di Roma: per cui, sfidando anche lo sciopero nazionale dei trasporti in atto quel giorno, mi presentai nel loro ambulatorio per iniziare quest’avventura che dura ancora oggi. Ed è anche così che iniziò il mio percorso di “avvicinamento” alla LIRH, che mi ha portato oggi a scrivere queste righe. Magari potrà sembrare assurdo anche solo pensarlo, ma se non fosse stato per la malattia di Huntington non avrei avuto modo di conoscere persone meravigliose con le quali ho trascorso anche tanti momenti di allegria e spensieratezza, che reputo utili ad affrontare al meglio questa sfida, così come altre che la vita ci pone: evito di citarle tutte perché correrei il rischio di dimenticarmi qualcuno, nonché di sforare lo spazio a mio disposizione!

Anche la sorella maggiore di mio papà, Maria, mia zia, era stata colpita dalla malattia, con i primi sintomi evidenti che iniziarono a manifestarsi attorno ai suoi 50 anni. Mia zia viveva a Como insieme al marito, per noi nipoti zio Lino, e non aveva figli. Già durante il mio periodo universitario mi capitava di andare a trovarli nei fine settimana, e mi sono sempre sentito accolto con affetto: per cui in quegli anni, complice anche il fatto che la mia fidanzata di allora fosse di Como, ho iniziato a “frequentare” più assiduamente la casa dei miei zii (specialmente nei weekend). Ho avuto quindi modo di sperimentare in prima persona, seppur parzialmente, il graduale peggioramento delle condizioni di vita di mia zia, che si riverberavano anche su mio zio, che ha cercato fino all’ultimo giorno della sua vita di assisterla come meglio poteva e sapeva, con tutti i mezzi a sua disposizione.

Dal 2015, di ritorno da un periodo di lavoro in giro tra l’Italia e l’Europa, mi stabilii a Como con la mia famiglia e divenni per i miei zii praticamente un punto di riferimento (direi più o meno come dovrebbe essere un figlio per i propri genitori anziani): mia zia era ormai allettata da anni (si alternavano due badanti per prendersene cura) e non aveva più capacità di linguaggio e mio zio, più anziano di lei, iniziava a sentire il peso dell’età. Le visite di controllo presso l’Istituto “Carlo Besta” di Milano erano diventate per lei una sofferenza, dato che era necessario trasportarla in barella in autoambulanza. Ragion per cui, di concerto con lo specialista che l’aveva in cura e considerando lo stadio finale della malattia, si decise di sospendere le visite specialistiche di controllo. Penso che, purtroppo per mia zia, l’aver dovuto rinunciare alla possibilità di essere visitata da dottori esperti della malattia possa aver contribuito al peggioramento delle sue condizioni di vita (un esempio su tutti: il suo medico di base che trattava la sua “tosse” con uno sciroppo per la tosse, anziché pensare potesse essere causa di cibo che andava nei polmoni, a causa delle difficoltà di deglutizione di mia zia!).

In quel contesto ho realizzato quanto fosse importante per una persona affetta da questa patologia, specialmente se vive lontana dai centri specializzati nella malattia, avere la possibilità di essere visitata a domicilio da personale esperto (a Como non mi risultano neurologi specializzati nella malattia di Huntington), nonché avere attorno una rete di supporto, che possa prendersi cura di tutti gli aspetti della vita del malato, sanitari e non (ad esempio, la gestione delle badanti, della burocrazia, del denaro, e così via) e ho pensato a quanto potesse essere comune ad altre persone affette da questa patologia quella stessa condizione. 

I miei zii vennero a mancare a distanza di tre mesi l’uno dall’altro, per uno strano disegno del destino in concomitanza delle due feste più importanti per la cristianità: nel periodo natalizio mio zio (la mattina del 31/12/2017, in ospedale); nel periodo pasquale mia zia (il Venerdì Santo 30 marzo 2018, nella casa di riposo dove trascorse gli ultimi mesi della sua vita).

Non posso dire con certezza chi fosse mia zia prima che la malattia la aggredisse, proprio perché nel periodo precedente all’insorgere dei primi sintomi, l’avevo “vissuta” solo sporadicamente in occasione delle festività natalizie e le ferie estive, quando veniva a trovarci con il marito in Puglia. Eppure, da quei momenti trascorsi insieme e dai racconti ascoltati sul suo conto, posso dire che mia zia era una donna estremamente devota alla famiglia, un’ottima cuoca e sarta, e amava la compagnia delle persone che la circondavano, persone che, man mano che la malattia di aggravava, si “diradarono” come la nebbia al mattino.

Dopo la morte dei miei zii ho gestito per conto di mio papà, unico erede, tutti gli adempimenti legati all’eredità ed è stato allora che ho proposto in famiglia la possibilità di usare una parte di quel denaro per lasciare un ricordo “tangibile” di mia zia, che fosse legato al mondo dell’Huntington. 

L’iniziativa della borsa di studio è stata concordata con la LIRH e colgo l’occasione per ringraziare Barbara per la sua sempre cortese disponibilità nell’avermi dedicato il suo tempo e per avermi reso partecipe del processo di definizione di questa iniziativa, in cui credo molto.

Infine, vorrei ringraziare sin d’ora la/il futura/o assegnataria/o della borsa di studio “Maria Tassano”: sono sicuro che svolgerai un lavoro all’altezza delle aspettative e che darai un contributo importante allo sviluppo della telemedicina nell’ambito della malattia di Huntington. Mi permetto solo di chiederti il massimo impegno e dedizione nello svolgimento di questo incarico, tenendo anche a mente quante difficoltà potrebbero essere appianate per i malati (ed i loro caregiver) attraverso questo strumento. Si potrebbe quasi dire parafrasando il celebre detto, “Dato che Maometto non può andare alla montagna, allora sarà la montagna ad andare da Maometto!”. Un sincero in bocca al lupo!

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